AGI dal 1945 al 1973

Guide in Emilia-Romagna


Tradizione sociale e nuovo protagonismo
Con il ritorno della pace, anzi qualche tempo prima, nel settembre 1943 in Italia ritorna anche
lo scautismo, seguito poco dopo dalla nascita delle guide cattoliche dell’Associazione Guide
Italiane (Agi) come proposta fondata sui valori, sulla metodologia scout e sulla formazione
cristiana.
L’iniziativa di dar vita alle guide in regione parte ancora una volta da mons. Emilio Faggioli che
fonda a Bologna il primo reparto coinvolgendo una giovane Emma Tornimbeni, divenuta poi
la prima Commissaria regionale. L’esperienza del guidismo suscitò molto interesse da parte
delle ragazze perché permetteva loro di sperimentare una propria autonomia e la possibilità di
dimostrare che erano capaci di poter fare da sole.
Lo sviluppo fu rapido, anche se numericamente molto inferiore rispetto a quello dell’Asci,
probabilmente perché in quegli anni per le ragazze la possibilità di vivere questo tipo di
esperienza era limitato soprattutto dall’appartenenza sociale, la sola che permetteva di uscire
da logiche culturali che precludevano alla donna esperienze nuove.
In quel periodo storico, nel mondo civile come nelle parrocchie, l’associazionismo femminile – a differenza di quello maschile – non fu particolarmente sostenuto e promosso e lo slancio
del nuovo “protagonismo femminile”, espressione di una maturazione e crescita di autonomia
della donna, venne presto ricondotto verso modelli femminili tradizionali. Con una nuova
spiritualità ed una intenzione di sviluppo della identità femminile attenta alla responsabilità
personale e all’assunzione di impegno e cura verso il prossimo, l’Agi rimane un’associazione
per gran parte di élite e non di massa, promossa e partecipata principalmente da donne e
giovani del ceto medio o medio-alto.
Anche in Emilia-Romagna lo sviluppo e le caratteristiche dell’associazione sono
sostanzialmente queste: una diffusione non ampia, con presenza principalmente nelle città
maggiori, per lo più legata a sacerdoti lungimiranti che si fanno “garanti” di questa proposta
educativa femminile con le famiglie e – spesso – con gli altri sacerdoti e la gerarchia ecclesiastica.


Un’associazione di nicchia, ma di grande spessore
Il guidismo dell’Agi non voleva essere la trasposizione al femminile dell’esperienza maschile,
ma cercava lo sviluppo di una propria originalità mantenendosi però fedele alla proposta
educativa di Baden-Powell centrata sulla Legge scout e la Promessa, l’educazione alla Fede e
l’esperienza di gruppo, la vita all’aperto e la progressione personale. La ricerca dell’originalità
“di uno scautismo al femminile” porta l’Agi a svilupparsi in modo diverso dall’associazione
maschile non solo sul piano dell’elaborazione metodologica ma anche su quello organizzativo
mentre l’Asci si stava consolidando in modo ben strutturato e organizzato, con un livello
gerarchico ben definito e con un metodo scout sostanzialmente rigido.
Al contrario l’Agi era una realtà che affidava ampia autonomia ai gruppi e le strutture
associative, pur presenti, erano soprattutto volte ad essere di raccordo tra le varie esperienze
e luogo di riflessione e maturazione delle scelte che servivano per offrire qualità alla proposta
educativa delle ragazze. Le attività delle bambine nelle Coccinelle, delle ragazze nel reparto
Guide in Emilia-Romagna delle Guide e delle scolte nel Fuoco erano proposte con tutte le caratteristiche proprie dello scautismo di Baden-Powell, ma interpretate con elementi originali che costituivano “la grande ricchezza” del guidismo cattolico italiano.
Gli anni ’50 e ’60 segnano, nel nostro paese, il passaggio dalla ricostruzione al tempo
più faticoso dello sviluppo economico, poi a quello più promettente dell’apertura alla
emancipazione e del riconoscimento dei diritti della donna e sono, per il guidismo, un tempo
di lenta crescita numerica anche se ricca dal punto di vista della elaborazione dei contenuti.
Accadeva di frequente che le giovani capo lasciassero l’Associazione al momento del
matrimonio (allora in tempi assai anticipati rispetto ad oggi) oppure al termine degli studi
quando si entrava nel mondo del lavoro.
Questo non ha consentito il costruirsi di processi consolidati attraverso l’accumulo di
esperienze vissute da più persone che, con metodo, si passavano un testimone ma vedeva
lasciate alle relazioni personali la serie di esperienze di vita anche di grande valore e spessore davvero profonde e significative – maturate nell’associazione.
L’Agi è stata una grande realtà di scautismo cattolico, laboratorio di elaborazioni
metodologiche importanti e di forte proposta educativa nella fede cristiana, capace di
rivendicare la propria originalità per essere un movimento femminile cattolico protagonista
nei cambiamenti della società e della Chiesa italiana.
All’inizio, nel 1947, la presenza dell’Agi in regione è limitata a poche città con un solo gruppo.
Nel tempo solo qualche centro – Bologna (4 gruppi), Cesena (2 gruppi) e Modena (3 gruppi) – è
riuscito ad aprire più realtà stabili mentre altrove nascevano altri gruppi singoli. Il numero delle
associate, dunque, non è mai stato elevato e nel 1974, al momento dell’unificazione con l’Asci,
si contavano circa 20 gruppi nella regione con 1750 iscritte.
Numeri piccoli, quindi, con frequenti chiusure/riaperture delle unità sempre legate alle
vicende di studio, lavoro e di vita delle capo. Esisteva, però, un grande legame di fratellanza
che si manifestava nelle numerose occasioni di aiuto reciproco tra gruppi di diverse città che
si aiutavano con scambi e incontri, facendo insieme uscite e campi per dare continuità di
occasioni educative a coccinelle, guide e scolte.
Si susseguono come Commissarie regionali Emma Tornimbeni, Anna Sofia Mattioli,
Giuliana Zampighi e Anna Folicaldi che dal ’65 è Responsabile nazionale Scolte. Con
la Squadriglia nazionale Scolte nel 1968 a Chiavari, nasce la “Magna Charta” che porta
all’Assemblea nazionale Scolte dell’agosto 1969 con cui l’Agi vuole ripensare il metodo alla luce
dell’esperienza, della storia e cultura contemporanee e del Concilio Vaticano II, senza timore di
mettere in discussione tutto il disordine costituito mascherato sotto l’ordine apparente.
Siamo nel periodo storico della contestazione giovanile che scuote e obbliga le società
occidentali ad interrogarsi. Fino quel momento Asci e Agi hanno camminato in modo
autonomo, in parallelo e senza particolari collaborazioni, ma sul finire degli anni ‘60 cominciano
le prime attività tra le unità di scolte e rover per vivere esperienze comuni pur mantenendo
ciascuno la propria originalità. Sono le prime esperienze di coeducazione che, se non
indirizzano, rafforzano però l’idea che sta emergendo in parte delle due associazione di dar
vita ad una un’unica realtà per dare una risposta “nuova e innovativa” alle future generazioni.
Come nell’Asci la proposta dell’unificazione crea forti contrasti, divisioni e abbandoni, così è
pure nell’Agi.
Anche in Emilia-Romagna c’è una componente dell’Agi contraria all’unificazione perché
intravede il pericolo di una perdita di identità e teme non sia più possibile esprimere propri
contenuti, venendo relegate ad un ruolo subalterno anche a motivo delle sproporzioni
numeriche ed organizzative tra le due associazioni.
Nonostante resistenze, forti contrasti ed abbandoni (nell’Agi prima, in Asci dopo l’unificazione)
nel 1974 nasce l’Agesci che porta alla fusione dei gruppi maschili e femminili, se presenti nella
stessa parrocchia, e all’apertura di nuove unità femminili nei gruppi esclusivamente maschili.
E’ tuttavia nei fatti che l’evoluzione metodologica dell’Agesci si sia sviluppata molto sulle
linee del guidismo e abbia “costretto” la parte maschile a rivedere rigidezze e modalità di lavoro
che la caratterizzavano.
E’ grazie alla presenza di capo dell’Agi, fortemente poi impegnate nell’Agesci, se oggi l’identità
femminile non solo è stata mantenuta ma gioca un suo ruolo specifico e qualificante e l’intero
impianto educativo di questa associazione si sforza di vivere con equilibrio le dinamiche di
crescita proprie di ogni singolo.
E’ da mettere in evidenza come ancora una volta le capo della regione Emilia-Romagna
anche in Agesci abbiano offerto ed offrano anche oggi il loro prezioso contributo alla crescita
in termini di contenuti e qualità anche sul piano nazionale come nel passato avevano fatto
nell’Agi.


…a loro dobbiamo particolare gratitudine
Delle vicende del guidismo, per come è stato vissuto e strutturato – in Emilia-Romagna
come in Italia – purtroppo non è rimasta documentazione pari allo slancio e ai valori ideali delle
persone che lo hanno vissuto.
Nella ricerca di testimonianza per cogliere l’identità e l’originalità dell’Agi spiccano certamente
alcune capo dell’Emilia e della Romagna: Anna Folicaldi, Maria Gloria Senni, Adele Selleri e
Rosanna Stagni di Bologna, Giuliana Zampighi di Modena e Giorgia Bazzocchi a Cesena.
E’ stato possibile rintracciare solo alcune di queste persone oppure ritrovare qualche nota
sulla stampa associativa di allora. Tra tante capo, dobbiamo particolare gratitudine anche a
Paola Savelli a Faenza, Anna Figini di Ravenna, Egidia Fogacci a Forlì e Rita Caleffi di Mirandola
senza dimenticare Anna Bonazzi, Lucia Vezzini ed Anna Sofia Mattioli, le guide della prima
squadriglia di S. Giovanni in Monte dell’Agi Bologna 1, con le quali tutto è iniziato.
Al fianco di tutte loro hanno camminato a lungo alcuni dei migliori sacerdoti della Chiesa
emiliano-romagnola, condividendo responsabilità ed impegno anche nell’Asci: ricordiamo
in modo particolare le figure di mons. Emilio Faggioli, mons. Giovanni Catti e mons. Nevio
Ancarani a Bologna, don Camillo Mellini a Fidenza e don Lino Mancini a Cesena.
È anche grazie a loro e a tante altre giovani donne, più conosciute localmente, che l’Agi è
stata in grado di donare all’Associazione di oggi la specificità del guidismo italiano.

(testo da Impronte 1917-2021 Scout e guide tra il Po e l’Adriatico di V. Politi & P. Zoffoli – Editore Stilgraf)

FOTOGRAFIE AGI 1945-1973