Scout e terremoto: diario del 10 luglio

TERREMOTO: DIARIO 10 LUGLIO 2012
(a cura dell’inc. Comunicazione Agesci Emilia Romagna)

Di seguito la testimonianza di Gabriele che ci racconta la sua esperienza di servizio a Crevalcore.

PICCOLO E UN PO’ GRANDE
Piccolo… così mi sento e mi sono sentito di fronte alla potenza devastatrice del terremoto, vista con i miei stessi occhi, nei confronti di animi e mattoni. 
Mi sono sentito invece “grande” e utile per quello che ho potuto fare, anche se solo per pochi giorni, alla luce di questa immane tragedia.
Ho sentito il bisogno di partire. Di andare nei luoghi fatidici, in particolare a Crevalcore, il posto assegnatomi. Ho sentito la necessità di “sporcarmi davvero le mani” e rendermi utile.
Ho prestato servizio a Crevalcore dal 2 al 6 giugno, lavorando tutti i giorni dalle 7 di mattina alle 4 di notte, ininterrottamente. Ero componente di una squadra di 5 persone. Insieme gestivamo il magazzino dei beni di prima necessità che arrivavano di continuo inviati dalle persone. Censivamo tutti gli sfollati che volevano assicurarsi un posto letto nella grandissima tendopoli. Allestivamo le tende in base al numero di richieste, sistemando le brande e i materassini dell’esercito Italiano. Ma questa era solo una parte del lavoro, la parte più facile.
La cosa più bella e difficile in assoluto, era provare a trasmettere tranquillità e spensieratezza alle persone che in quelle tende dormivano, alla gente che aveva bisogno di quei beni di prima necessita. Questo veniva fatto in modo semplice, a volte impacciato, con parole di conforto e qualche risata insieme. La bellezza della semplicità, che per chi non la vive può sembrare banale, ma per tutti noi in quell’occasione significava molto, a volte tutto.
Terminavo la giornata con la guardia al campo, vigilando sul sonno dei pochi sfollati che riuscivano a chiudere occhio. Controllavamo il perimetro della tendopoli con l’aiuto di Carabinieri e soldati della Folgore, con cui è stato bello scambiare qualche chiacchiera notturna.
Mi è dispiaciuto molto dover lasciare il campo. Lasciare persone italiane e straniere che in poco tempo ho imparato a conoscere nelle loro mille difficoltà. Mi sono affezionato molto a loro. Partire dopo solo 5 giorni mi ha fatto provare una strana sensazione. È stato come lasciare le cose a metà.
Oggi che scrivo comodo dal letto di casa mia a Bologna, rimane la curiosità di sapere come andranno a finire le cose. Penso spesso al momento in cui quelle persone potranno tornare nelle proprie abitazioni, e mi auguro quel  momento arrivi il più presto possibile.
Proprio per tutto questo tornerò, si tornerò!
(Gabriele Caldi, Bologna 10)

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