Le guerre e le situazioni di violenza strutturale presenti attorno a noi ci interpellano, ci chiediamo come abitarle? Come capirle? Cosa fare? E ci pongono anche questioni educative: parlarne con i bambini e i ragazzi che ci sono affidati? In che modo? Perché?
Queste situazioni sono delicate e difficili e allo stesso tempo ci danno l’occasione per fare un passo avanti e crescere come capi e come persone. Allora partiamo in quest’avventura con coraggio, consapevoli che non siamo soli, ma che camminano insieme a noi i capi della nostra Comunità, della nostra Associazione e i bambini e i ragazzi che ci sono affidati!
Penso che come prima cosa sia importante decidere di abitare la realtà. Decidere di affrontare insieme le situazioni tragiche che ci interpellano, far entrare la realtà dalla porta della nostra “sede”, perché “la realtà è superiore all’idea” (Evangelii Gaudium, 233).
È il principio della strada, dell’essere esploratori, dell’abitare il mondo che ci circonda. I nostri bambini e bambine, i nostri ragazzi e ragazze vivono in questa realtà e hanno bisogno di adulti significativi che li accompagnino anche in un “saper stare” nel mondo, con le sue oscurità e le sue complessità.
Saper stare innanzitutto vuole dire anche so-stare, fare una pausa, fermarsi davanti a questi fatti terribili, semplicemente stare di fronte alla realtà e osservarla. Starci insieme aiuta ad aprire uno spazio in cui accogliere le loro emozioni, le loro paure, i loro pensieri, che talvolta non vengono intercettati da altri contesti e da altri adulti. Se camminiamo insieme a loro sulle strade verso la felicità non possiamo non abitare il nostro mondo insieme a loro!
Con quale sguardo?
Un amico una volta ha raccontato cosa lo ha spinto a partire per i Balcani durante la guerra in ex-Jugoslavia: era obiettore di coscienza in una casa di accoglienza con persone con disabilità e alla sera, mentre in televisione passavano le immagini della guerra, una ragazza sulla sedia a rotelle gli ha detto “guarda, giocano!”. In effetti fra le macerie dei bombardamenti c’erano dei bambini che giocavano, c’era la vita.
Abbiamo bisogno di uno sguardo che vada oltre, che guardi, come direbbe B.-P., “ancora più lontano”. E allora, quando tutti parlano di geopolitica, di cause storiche, ricercano gli elementi di divisione che quasi giustificano quella situazione, noi guardiamo all’umanità, osserviamo come stanno le persone in quella situazione, cosa stanno vivendo quelle persone che sono proprio come noi, con sogni e legami, voglia di vivere e di essere felici.
Ce lo dice il Papa, in un bellissimo passo della Fratelli tutti, che fin dall’inizio sembra indirizzato proprio a noi scout: Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male. Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Rivolgiamo lo sguardo a tanti civili massacrati come “danni collaterali”. Domandiamo alle vittime. Prestiamo attenzione ai profughi, a quanti hanno subito le radiazioni atomiche o gli attacchi chimici, alle donne che hanno perso i figli, ai bambini mutilati o privati della loro infanzia. Consideriamo la verità di queste vittime della violenza, guardiamo la realtà coi loro occhi e ascoltiamo i loro racconti col cuore aperto. Così potremo riconoscere l’abisso del male nel cuore della guerra e non ci turberà il fatto che ci trattino come ingenui perché abbiamo scelto la pace.
Il Papa ci insegna a partire dalle ferite e dallo sguardo delle vittime, dagli effetti terribili della violenza. Mi sembra che questo sia molto importante perché spesso – proprio per “deformazione professionale” legata ai verbi così cari al nostro metodo “vedere, giudicare, agire” – siamo portati a voler capire, decodificare, studiare le guerre, capire come sono nate, prima di prendere una posizione.
Penso che questa invece sia una vera e propria tentazione alla quale occorre sottrarsi con forza. Di fronte a ogni guerra e a ogni violenza che abbiamo davanti, anche se di questa non sappiamo nulla, sospendendo il giudizio sulle cause e sulle ragioni, possiamo fin da subito prendere una posizione: dire, insieme al nostro Patto Associativo, che rifiutiamo la violenza in ogni sua forma, che la distruzione dell’altro non è una strada.
Occorre inoltre allargare lo sguardo alle tante situazioni di conflitto presenti nel mondo e di cui magari i media non parlano: Paesi in cui sono sistematicamente violati i diritti umani fondamentali, in cui è ancora in vigore la pena di morte, Paesi attraversati da guerre civili e da guerre fra Stati.
Sui conflitti attualmente in corso abbiamo almeno due strumenti e tanti testimoni d’eccezione:
- “L’atlante delle guerre e dei conflitti del mondo”, che esce annualmente con una pubblicazione, ha un sito aggiornato e un podcast settimanale sui conflitti dimenticati (“Un camper nei conflitti”).
- L’Uppsala Conflict Data Program, un programma di raccolta ed elaborazione di dati sui conflitti armati nel mondo gestito dall’Università di Uppsala, in Svezia, che permette di analizzare i dati sui conflitti armati in corso e nel tempo e, per esempio, permette di visualizzare le 170 situazioni di conflitto armato attualmente in atto.
Testimoni d’eccezione vivono accanto a noi, spesso nelle strade delle nostre città; sono le tante persone che fuggendo la guerra sono giunte qui da noi, e chissà quante cose hanno da dire a chi sappia domandare “in punta di piedi”!
Occorre inoltre allenare lo sguardo e il cuore. Gli studi psicosociali ci dicono che alla base di ogni forma di violenza c’è il meccanismo della de-umanizzazione. Ciò che permette di usare violenza contro un proprio simile è il fatto di considerarlo profondamente diverso da se stessi.
Questo è particolarmente evidente quando attecchiscono ideologie che etichettano l’altro sulla base di una determinata appartenenza sociale o etnica. Ma il rischio della de-umanizzazione è presente in ognuno di noi, nella nostra vita quotidiana: quando togliamo le “seconde occasioni”, quando non riconosciamo all’altro la nostra stessa dignità, quando liquidiamo una situazione con un giudizio superficiale che squalifica l’altro.
Alleniamo allora il nostro sguardo a riconoscere i sottili meccanismi della de-umanizzazione, che spesso partono dal linguaggio o dal tono con cui si pronuncia una frase, e alleniamo i nostri cuori a riconoscere nell’altro il volto di un fratello che vale il sangue di un Dio.
Cerchiamo, insieme ai nostri bambini e ragazzi, gli antidoti alla de-umanizzazione e lavoriamo per un pieno riconoscimento della dignità umana in ogni situazione: in macchina, tra i banchi di scuola, alle poste, durante il pranzo con i parenti e nella nostra riunione settimanale. Sarebbe bello se le nostre città si colorassero di gesti di ri-umanizzazione, ad esempio verso gli “invisibili” e gli “ultimi”.
Una strada fiorirà
Decidere di stare davanti a una situazione dolorosa nella condivisione fa sì che si aprano spiragli di luce, anche nel nostro piccolo. Sono certa che se decidiamo di abitare insieme ai nostri ragazzi e ragazze queste situazioni “scomode” una strada fiorirà e si potranno inventare insieme modalità nuove per dire la nostra, per dire che vogliamo costruire un mondo in pace e per iniziare a costruirlo. Forse sarà il boicottaggio di alcuni prodotti, un nuovo stile di vita o qualcosa che ancora non possiamo nemmeno immaginare! D’altro canto tocchiamo con mano tutti i giorni cosa è nato da quell’ex generale che ha vissuto la catastrofe della guerra e si è chiesto come costruire un mondo un po’ migliore e in pace!
Alessandra Cetro (Incaricata GPN AGESCI Emilia-Romagna)
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