In pulmino lo spirito era alto: finalmente una giornata di sole, la strada scorreva, si facevano le chiacchiere. Poi quando siamo entrati nei quartieri colpiti di Forlì è sceso il silenzio: un cartello indicava di fare attenzione e poi si entrava in una zona che sembrava essere stata colpita da un tornado. Mucchi di mobili, divani, materassi a ogni angolo delle strade.
Strade impolverate, con il fango secco di giorni. Nell’aria un odore nauseante, che cambiava di quartiere in quartiere, a seconda dell’azienda che si trovava in quella zona. Poi il rumore costante delle idrovore che succhiavano acqua dagli scantinati. In giro solo gente con stivali e vestiti infangati.
Era sabato 27 maggio. Gli altri volontari e quelli della protezione civile ci hanno accolto con un saluto e un sorriso, mentre le facce degli abitanti della zona erano più lunghe e pensierose, ormai erano passati 10 giorni dall’alluvione e di cose ancora da fare ce ne erano davvero tante.
Armati di badili, guanti e carriola, siamo stati destinati a ripulire i giardini delle case, sommersi da 25 centimetri di fango melmoso che rischiava di seccarsi e di soffocare tutte le piante, fiori e creare uno scalino anomalo nel giardino.
Pur alla prima esperienza, abbiamo fatto del nostro meglio per usare badile, vanga e manovrare la carriola con tanti chili di fango melmoso dentro. Dovevamo accumularlo sulla strada, dove poi sarebbero passati i mezzi grossi della protezione civile o dell’esercito per rimuoverlo.
Siamo passati di giardino in giardino, i proprietari erano indaffarati a pulire scantinati e a sistemare il sistemabile. Ognuno ci offriva qualcosa da bere per ringraziarci dello sforzo (perché il fango melmoso è pesante e puzzolente dopo tanti giorni di ristagno!).
Abbiamo concluso il pomeriggio in un altro giardino, dove abbiamo dato il cambio a dei ragazzi che stavano sbadilando dalle 10 di mattina ed erano stremati. A fine turno, quando anche i volontari della protezione civile hanno fatto rientro al loro campo base, ci siamo fermati a fare merenda con i proprietari e a farci raccontare di quelle giornate.
Ci hanno raccontato di avere avuto paura, di aver fatto i turni di veglia la notte per monitorare l’avanzata del fango. Di aver provato disperazione, ma di aver sentito tanto sostegno. Prima di andarcene ci siamo fatti pulire con l’idrante, come uno scambio di servizio, perché – come ci ha detto chi col fango aveva a che fare da giorni – il fango è resistente, si secca addosso e poi fai fatica a mandarlo via.
Al rientro in pulmino eravamo stanchi, contenti di aver fatto la nostra parte, ma anche pensierosi, perché ci è sembrato di aver fatto proprio poco, di fronte a tutto quello restava ancora lì dopo la nostra partenza.
Clan Koiné – Gruppo Rimini 4
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