Ciao, mi chiamo Gaia, ho 24 anni e vivo a Forlì. Da due anni ho la fortuna di far parte del Gruppo scout di Bertinoro. Quest’anno abbiamo deciso, grazie a situazioni favorevoli che ce lo hanno permesso, di andare a fare servizio ad Atene, presso la comunità Papa Giovanni XXIII.
Il nostro viaggio è cominciato molti mesi prima della partenza effettiva dall’aeroporto di Bologna. Infatti io, gli altri capi e i ragazzi abbiamo partecipato ad alcuni incontri preparatori organizzati dal centro missionario, dal nome “Vengo al volo”. Questi incontri si sono svolti nella parrocchia di San Pietro, a Forlimpopoli. Infatti oltre al clan di Bertinoro, anche quello di Forlimpopoli ha deciso di partire la settimana successiva alla nostra.
Oltre alla preparazione diciamo più “spirituale, umanitaria” per aiutarci a partire con qualche accortezza, consapevolezza in più, abbiamo organizzato alcune attività di autofinanziamento. Abbiamo organizzato alcune tombole e una cena con tanto di intrattenimento musicale nelle zone di Bertinoro come Panighina, Santa Maria Nuova e nella nostra sede scout. Un grosso contributo è arrivato dalla vincita di un bando della Fondazione Bellincampi di Roma, a cui abbiamo mandato un video, pensato e realizzato dagli R/S, per spiegare ciò che saremo andati a fare ad Atene.
Una volta preso finalmente l’aereo è iniziata la nostra esperienza. Dalla comunità Papa Giovanni XXIII siamo stati chiamati per svolgere servizio alle persone senza fissa dimora, che durante il giorno e la notte si trovano al porto o nel centro città.
Abbiamo aiutato a traslocare i mobili dalla vecchia capanna di Betlemme a quella nuova; abbiamo aiutato degli animatori con i bambini del proprio centro estivo nella struttura dove ci hanno ospitato e abbiamo avuto la fortuna di incontrare le suore, i “genitori” che gestiscono la casa famiglia, e altre persone che hanno fatto della loro vita una scelta umanitaria importante.
“Ci sono tantissimi poveri al mondo che non verranno mai da noi, da quelli dobbiamo andarci noi. Loro sono miei fratelli”. Questa frase di don Oreste Benzi, il fondatore della Papa Giovanni mi ha ronzato in testa per tutta questa route. Ed è proprio quello che abbiamo fatto noi.
In questa route abbiamo capito il valore dell’incontro con l’altro. Abbiamo avuto la possibilità di guardare negli occhi quella gente e scambiare due parole, per quel che era possibile. Ma da veri scout, dove non c’era la possibilità di comunicare a parole abbiamo tirato fuori la chitarra e iniziato a suonare.
Quando si parte per una missione si pensa sempre di poter stravolgere e cambiare il mondo, per poi arrivare e capire che quel che possiamo fare è davvero poco. Ma questo “poco” è solo una nostra sensazione. Perché quello che conta è, come dice don Benzi, di essere andati a trovare quell’altro che non sarebbe mai arrivato da noi. Quello scambio di sorrisi, strette di mani, abbracci che nessun bene materiale può compensare. Quel bisogno di AMORE di cui ogni essere umano necessita. Il capire che le persone sono tutte persone. Le persone non sono “senza tetto, disoccupati, carcerati, prostitute, ecc..”, ma sono prima di tutto umani. Con una storia, diversa dalla nostra. Ma abbiamo tutti un’anima e il diritto di umanità.
Questo tipo di esperienze possono quindi dare un piccolo contribuito per quanto riguarda i problemi di mancanza di lavoro, cibo, acqua… ma una grande mano dal punto di vista umano a queste persone, che il più delle volte si sentono sole e spaesate. E il cambiamento più grande deve avvenire dentro di noi. Affinché, dopo aver “visto”, non possiamo più fare finta di niente.
Quello che sicuramente mi porto a casa da questa route è la testimonianza delle suore che con tanta gioia e purezza d’animo ci hanno raccontato le loro scelte di vita, e di come sono state guidate dal Signore per farle.
Mi porto a casa gli occhi della gente che abbiamo incontrato in strada, dei sorrisi che, anche se per poco tempo, abbiamo cercato di condividere insieme. Mi porto a casa la dolcezza dei bambini con cui abbiamo giocato. Mi porto a casa anche un po’ di stanchezza, ma una stanchezza bella.
Una cosa che mi ha particolarmente colpita è stata l’aver guidato un vecchio pulmino delle suore, le quali tutti i giorni (o quasi) dovevano andare a prendere i bambini nelle loro case e farli giocare, disegnare o fare diverse attività nella loro chiesa. Non so bene come spiegarvi le mie emozioni. Mi sono sentita molto utile, ma allo stesso tempo preoccupata di avere la loro responsabilità. Di guidare in delle strade apparentemente simili alle nostre, ma che non lo sono. Ma dialogare con quelle suore, sentirle pregare per strada durante quel tragitto mi ha trasmesso una grande gioia e serenità. E mi ha fatto capire che, in quel momento, ero nel posto giusto.
Leggi il racconto della route scritto day by day da rover e scolte sul blog di scoutsider.
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