Si narra che una volta San Francesco fece con fra’ Masseo a La Verna, una gara davvero singolare: chi dei due sarebbe stato capace durante la notte di non addormentarsi e di recitare il maggior numero di ‘Padre nostro’. Li avrebbero contati con dei sassolini, da mettere dentro la propria bisaccia. Ogni Padre nostro un sassolino.
All’indomani fra’ Masseo, con la sua borsa bella pesante, colma di centinaia di piccole pietre si recò da Francesco, con fare vittorioso: “Ecco i Padre nostro che ho recitato in questa notte. Mostrami i tuoi!”. San Francesco, a mani vuote, con senso di sincera ammirazione disse al frate: “Io in verità non sono riuscito a recitarne nemmeno uno…”.
Fra’ Masseo rimase interdetto. Possibile che il Santo frate avesse abbandonato la sfida? Tradito l’amicizia con lui? Ceduto alle lusinghe della stanchezza e al piacere di una dormita? Francesco continuò e diede questa spiegazione: “Ho cercato per tutta la notte di recitare questa preghiera, ma non ci sono riuscito! Ogni volta che provavo e cominciavo, mi fermavo sulla prima parola ‘Padre’… e non riuscivo più a continuare!”.
Per quale motivo il poverello d’Assisi non riuscì? Ancora ce lo chiediamo: l’adorazione, la riconoscenza, la commozione per l’immenso amore che stava respirando, avevano preso il cuore di Francesco; oppure forse il senso di inadeguatezza e la ricerca di quale esistenza può essere capace e permettersi veramente di chiamare Dio in questo modo così profondo. Entrambe le ipotesi sono possibili.
Di sicuro c’è il fatto che per tutta la notte la sua preghiera era diventata un’apertura di cuore e una lotta, in cui egli aveva messo tutto se stesso, dimenticando il tempo e il luogo in cui si trovava.
Di San Francesco ci affascinano tanti aspetti della vita: la scelta della povertà come stile esistenziale, la cultura della fraternità con tutti, la sua capacità di seguire Cristo fino a immedesimarsi con Lui e condividerne le sofferenze per amore degli uomini. Ma forse dimentichiamo l’aspetto della sua preghiera, probabilmente la fonte di tutte le sue scelte coraggiose.
La memoria del patrono di tutti i lupetti e le coccinelle dei nostri gruppi, così come del nostro amato Paese, quello per il quale abbiamo promesso di compiere il nostro dovere, può diventare l’occasione per riscoprire il gusto della preghiera, senza la quale la nostra esistenza non prende quota.
Francesco ci ricorda che poter diventare figli di questo Padre è una gioia immensa, ma anche una responsabilità. Un dono immeritato, ma anche una conquista che deve poter tirare fuori dal nostro cuore tutti i talenti e le energie di cui siamo capaci. Anzi deve poter portare alla maturazione di un atteggiamento di affidamento che ci porterà a compiere scelte d’amore destabilizzanti, in primo luogo per noi. Scelte che conducano poi necessariamente a desiderare una società diversa, maggiormente riconciliata e unita.
Vale la pena riflettere con quale cura coltiviamo la preghiera nel nostro servizio educativo verso i ragazzi che ci sono affidati. Essi hanno il diritto di potersi scoprire amati e sfidati in questo modo da Dio. È la chiamata alla santità, cioè alla felicità (la perfetta letizia la chiamerebbe Francesco).
Anche questa ‘competenza’ potrà venire da loro acquisita solo se incontreranno sul loro cammino testimoni autentici e persone innamorate di quel Mistero di Vita che Gesù ci ha permesso di conoscere e coinvolto ad invocarLo insieme con Lui: ‘Padre nostro…’.
don Antonio Dotti, A.E. Zona di Carpi
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