Fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria mi sono interrogata su come poter “dare una mano”, dare un senso alla mia promessa “compiere il mio dovere verso Dio e verso il mio Paese”, che non fosse il solo restare a casa.
Ho accolto quindi con entusiasmo la richiesta di disponibilità per la distribuzione delle mascherine, giunta dalla Protezione Civile, tramite il mio capo Gruppo. Mi ha provocato molto che la distribuzione iniziasse nei giorni di questo Triduo, cosi anomalo da tutti gli altri vissuti fino a ora.
Ho iniziato il servizio il pomeriggio del Venerdì Santo davanti a un supermercato del mio quartiere, insieme ad altri capi della mia comunità. Dopo tanti giorni di vita casalinga, sono stata catapultata in mezzo alla gente per tante ore, non in una fila frettolosa e silenziosa per fare la spesa ma a disposizione, in relazione con gli altri.
Dopo tanti giorni di “casa” mi dà subito alla testa questa quasi socialità. La gente si approcciava a noi in tanti modi, sommessamente prendevano una mascherina e si rimettevano in fila; chiedevano spiegazioni sul suo uso, scambiavano due parole; chiedevano se dovevano pagarle oppure lasciare un offerta oppure (pochi in realtà) ci ignoravano e con diffidenza preferivano non avvicinarsi rifiutando la mascherina.
Essere in un supermercato del mio quartiere, mi ha facilitato, ho incontrato gente che conoscevo e che non vedevo dall’inizio della quarantena, incluso qualche genitore dei miei lupetti. Sono nate cosi delle belle anche se veloci chiacchierate, a cui saltuariamente si è aggiunta la persona davanti o dietro la fila. Si percepiva soprattutto da parte dei più anziani il desiderio di tornare a una quotidianità fatta di chiacchiere anche banali, di saluti festosi, di relazioni non a distanza.
Verso la metà del pomeriggio, quando l’euforia di fare finalmente qualcosa di utile, ha lasciato spazio a un po’ di stanchezza fisica, mi sono fermata a riflettere su quella fila di persone che in silenzio attendevano il proprio turno per entrare nel supermercato; su quanta angoscia, solitudine, diffidenza emanassero nel loro insieme, ma anche sui bellissimi anche se piccolissimi gesti di amore e solidarietà che mostravano l’uno all’altro: far passare avanti un anziano, rifiutare la mascherina perché l’avevano già e preferivano lasciarla a chi non ne aveva, rispondere con entusiasmo ai nostri auguri di Buona Pasqua.
Io che i giorni prima avevo pensato che questo Triduo casalingo non sarebbe stato in grado di donarmi nulla, ho ringraziato il Signore perché mi sono sentita come davanti alla Sua Croce, proprio nel giorno in cui ogni cristiano è chiamato a rivolgere lo sguardo alla Croce e stare davanti al simbolo di violenza e gratuità insieme.
Il giorno dopo il servizio è stato diviso in due fasi, la mattina sempre davanti al supermercato e nel pomeriggio a coppie siamo andati a consegnare le mascherine porta a porta agli ultra 65 seguendo un elenco fornito dal Comune di Rimini. La prima meravigliosa sensazione quella di camminare. Camminare insieme a un altra persona, anche se tenendo la distanza, parlare, con l’aria fresca sulla faccia, anche se per metà coperta da una mascherina, vedere il mare.
Pensavo che suonare il campanello avrebbe richiesto una minor interazione e un minor coinvolgimento emotivo. Ma gli anziani hanno voglia di parlare, hanno voglia di uscire. E cosi molti tentano l’approccio “Scendo subito, la vengo a prendere, non la metta nella buchetta” .
Ho imparato che gli anziani non rispondono al citofono, ma vengono sul balcone e cosi una parola tira l’altra, chiedi informazioni sul vicino che non risponde e scopri una solidarietà antica. Ti chiedono se sei andata anche in fondo alla via che c’è una signora 90 enne che vive da sola, timidamente ci hanno chiesto di poterne avere due perché in famiglia sono in 2 ad avere più di 65 anni. Sai che devi lasciarne una a famiglia, sai benissimo, anche perché te lo hanno detto al briefing prima di iniziare, che queste mascherine proteggono poco, ma ti hanno spiegato che psicologicamente in questo momento è importante averne una, da una maggiore sicurezza. E allora ti guardi negli occhi con l’altra persona che fa servizio con te e ne lasci un’altra.
Il pomeriggio si chiude alle 18.30, stanca, accaldata con molte emozioni nel cuore e negli occhi uno scorcio di mare. La frase che mi porto a casa da questo pomeriggio: “Io ne ho già una, ma me la lasci che la porto a un africano che non la compra e che non è in nessun elenco”.
Si chiude cosi il Sabato Santo, giorno di silenzio e meditazione, il mio giorno più attivo da quando è iniziata l’emergenza sanitaria. Torno arricchita di volti, voci e parole da questi 2 giorni di servizio e so che domani mentre celebrerò la Pasqua offrirò al Signore una preghiera per ogni volto incontrato.
Myriam Melandri – Rimini 4
No Replies to "Un Triduo pasquale di servizio"
I commenti sono moderati.
La moderazione potrà avvenire in orario di ufficio dal lunedì al venerdì.
La moderazione non è immediata.