Da Carpi agli scenari di guerra in tutto il mondo. La storia divita e di servizio di Chiara Lodi

di Lucio Reggiani

Chi ha fatto servizio in Branca R/S si è probabilmente trovato nella sfida di portare validi testimoni ai propri ragazzi, figure ispiratrici, quelli a cui guardare come coloro che hanno lasciato un segno con le loro scelte, incarnando esempi concreti di vita basata su fede, servizio e impegno. Sono certo di aver incontrato senza saperlo tante Donne e Uomini della Partenza che silenziosamente stanno vivendo la loro vita da testimoni. E così, infatti, che ti imbatti in chi ha fatto gli scout con te e ti rendi conto che ha trasformato quei valori in realtà, che proprio a seguito della sua vita in clan ha maturato quelle scelte. E così ti ritrovi al bar non per le solite chiacchiere, ma per ascoltare il racconto di una scelta di vita.

Chiara racconta con naturalezza di quando era di turno al pronto soccorso dell’ospedale di Gaza mentre un drone si schiantava nel reparto tre piani sopra di lei, uccidendo tutti, e di come nonostante tutto “quel rumore” siano andati avanti con il loro lavoro. Perché essere li presenti qualsiasi cosa succeda fa parte del mestiere, non mollando mai, ma continuando a soccorrere le persone anche se intorno la situazione diviene pericolosa. Chiara sa che quando le circostanze pregiudicano, ci si può affidare alla comunità, quella con cui si opera, persone provenienti da ogni parte del mondo, con cui si crea un legame profondo.

Tutto nasce da quelle discussioni nel clan del Carpi 1, quando tutti potevano dire la loro perché “nessuna opinione è stupida e tutti andavano ascoltati” e “il clan ci ha insegnato a capire la posizione degli altri e quindi a rispettarla”. Anche questo è far parte di una comunità, dove non tutti hanno la stessa idea, ma ci si può confrontare e si può condividere la propria idea anche se si rimane su posizioni differenti, perché “nessuna idea è stupida”. Poi impara dagli anni di servizio che “a fare il bene ti torna il bene”, quindi perché non scegliere di fare servizio in Croce Blu, “avevo visto che l’ambito sanitario mi interessava – racconta – perché così puoi lavorare con il sorriso perché aiuti il prossimo”. E ancora, “quello che ho imparato per prima cosa agli scout è stato di non fare un lavoro che fosse a fine a se stesso – si confida – ma che fosse anche a servizio degli altri. Poi aggiungi anche la curiosità, uscire dalla routine e quindi essere sempre in giro e vedere come vivono gli altri, tutte cose che se fossi rimasta qui non avrei potuto vivere”.

Allora Chiara sceglie di fare l’infermiera, ma si fa guidare verso un percorso più operativo, che rispecchia di più i valori che ha interiorizzato nei suoi anni agli scout, quelli del servizio al prossimo. E quindi viaggia con Emergency prima e poi con Medici Senza Frontiere. Chiara racconta dei vari luoghi dove di volta in volta è stata assegnata e racconta di quando aveva iniziato in Camerun e poi in altri luoghi come Iran, Afganistan, o in Congo, in Sudan, ma anche nella Repubblica Centro Africana. Le pause a casa per ricaricarsi, per rivedere gli amici, rivedersi con la comunità di partenza che le ha trasmesso i valori per i quali va a lavorare come Operatrice Umanitaria nei vari teatri di guerra in tutto il mondo.

Qualche settimana fa si è pure sposata, anche questa una scelta fatta con naturalezza, come qualsiasi persona con un lavoro tradizionale, e non come chi ti dice che la cosa che più le dà soddisfazione è vedere rialzarsi e camminare persone che erano arrivate a pezzi al pronto soccorso. “Eravamo in Afganistan e facevamo chirurgia di guerra. Arrivava di tutto, da mutilati a gente a brandelli, ma dopo settimane li rivedevi vivi, in piedi e ti sentivi felice. Anche la mia migliore amica che lavora da un notaio dice di essere felice quando vede le persone che escono con gli occhi lucidi per avere comprato la loro prima casa. Possiamo tutti allora rendere felici a nostro modo gli altri”.

Chiara ha visto con i suoi occhi anche i cosiddetti “bambini spaccapietre” nelle miniere di cobalto in Congo, emblema mondiale della piaga del lavoro minorile. “Vedevo questi bambini vicino al lago che spaccavano continuamente pietre con i bastoni, e pensavo allora che io ho avuto una grande fortuna a poter fare gli scout quando ero bambina, e di aver conosciuto alle cocci una delle mie migliori amiche, che mi è rimasta per sempre”.

Adesso la sua esperienza è divenuta più matura, coordina, insegna, si confronta con i responsabili del luogo per vedere di fare il meglio, di poter lasciare agli operatori locali insegnamenti che permetteranno loro di essere autonomi. “Ci confrontiamo, cerchiamo il dialogo con l’ONU o altri Enti o rappresentanti del ministero della salute di quel Paese. Vogliamo fare la cosa migliore, ad esempio insediare un ospedale, ma ci fermano, ci bloccano. Poi insisti e insisti, e ti richiamano il giorno dopo o anche due settimane dopo perché ci hanno pensato su e vogliono capire come fare”.

Per farlo bisogna conoscersi, perché “alle volte mi sembra di essere al campo scout o in route, vedi persone per settimane e poi, all’improvviso, ti ritrovi a operare con loro – nell’emergenza – e si crea un legame forte, perché bastano poche parole ed entri in confidenza con chi semmai avevi incrociato
tante volte. Così vieni a sapere anche quello che preferiscono a colazione, che magari non lo so di mie amiche a casa”.

Chiedo a Chiara se si porta queste esperienze “a casa”. “Sì, e ci sto male. Odio la guerra e a volte mi chiedo se valga davvero la pena investire tanto tempo della mia vita per contrastarla, ma quando indosso la maglietta di Medici Senza Frontiere penso solo ai pazienti, come vuole la legge internazionale”. L’hanno anche intervistata i telegiornali, “la cosa che mi hanno chiesto di più è stato di Hamas, cosa ne penso dei terroristi, ecc.. ma io penso alla maglietta e che sono tutti pazienti in quel momento”.

Chiara non giudica, l’ha imparato in clan, e in Medici Senza Frontiere ha trovato i valori di neutralità, imparzialità, indipendenza, umanità, che l’hanno portata a compiere il suo dovere senza schierarsi perché “vorrebbe dire mettere a repentaglio la missione”. L’unico obiettivo è essere d’aiuto al prossimo perché “non lasciamo indietro nessuno, curiamo le persone e non ci preoccupiamo da che parte sta la ragione”.

La ragione sta dietro e il cuore davanti, questo è quello che ho trovato quel pomeriggio al bar.

SCARICA IL GALLETTO A TEMA PACE

No Replies to "Da Carpi agli scenari di guerra in tutto il mondo. La storia divita e di servizio di Chiara Lodi"

    I commenti sono moderati.
    La moderazione potrà avvenire in orario di ufficio dal lunedì al venerdì.
    La moderazione non è immediata.