“Avevamo piani completamente diversi per la nostra route”. Questa la confessione di rover e scolte del clan Perla Nera, Gruppo Torino 11, che dal 3 all’8 agosto hanno dedicato il proprio servizio alle famiglie alluvionate e bisognose di Faenza. Per il clan del Torino 11 è stata un’esperienza molto toccante, di grande insegnamento e crescita. Di seguito il loro racconto.
“I piani originari della nostra route erano totalmente diversi, volevamo andare a Roma percorrendo la via francigena. Purtroppo, poco dopo è spopolata su tutti i social e telegiornali la notizia della tragica vicenda accaduta all’Emilia-Romagna. I nostri capi, però, ci hanno sempre insegnato che il servizio non deve essere e non è sempre preorganizzato, ma spesso improvviso e che bisogna essere pronti ad andare quando e dove c’è bisogno. Così, poco dopo, qualcuno del clan ha proposto al clan una route di servizio in Emilia-Romagna. Questa proposta non ha avuto particolari obbiezioni e i capi si sono subito attivati per trovare un’associazione dove potere chiedere ospitalità in cambio di servizio: la Caritas di Faenza.
Durante quest’esperienza abbiamo avuto il piacere di incontrare e conoscere molte persone, ascoltare realtà che apparentemente sono lontane da noi, ma che in realtà non lo sono così tanto. Abbiamo avuto l’onore di guardare gli occhi delle persone che hanno perso tutto e di sentire tutto il loro riconoscimento per il lavoro che stavamo facendo, qualcuno anche con le lacrime agli occhi. Abbiamo guardato e sentito gli occhi di persone che non riuscivano a cavarsela da sole, perché spesso molto anziane. Le case ancora con il fango fresco all’interno, nei mobili, letti e armadi marciti completamente da buttare, cantine completamente inondate, i muri, che anche a distanza di un paio di mesi avevano ancora l’odore del fango impregnato al loro interno. Abbiamo ascoltato le storie delle persone, c’era chi aveva appena aperto un negozio o una piccola attività che ha dovuto buttare tutto e ripartire completamente da zero; chi aveva librerie con libri diventati pietra per il fango solidificato o banalmente attrezzi, ricordi, foto, andati distrutti. Nonostante ciò, la forza, il calore dell’unione che hanno le persone di Faenza si è sentito e percepito.
In fine abbiamo ascoltato le testimonianze di Martina Laghi, Assessora alla Scuola, Formazione e Sport e di Francesco Bentini, capo scout e responsabile della Zona Ravenna e Faenza. Loro ci hanno raccontato, anche se con molta fatica, quella tragica notte. Ci hanno detto che qualche giorno prima dell’accaduto passavano macchine in tutte le vie con gli altoparlanti per avvisare la gente che abita ai piani bassi di evacuare e andare o in piani alti, oppure di rifugiarsi a casa di qualche parente o amico. Ci hanno evidenziato che l’odore del fango nelle strade era così forte da essere indimenticabile e che nel momento in cui vagamente ancora ne sentono l’odore la mente li riporta immediatamente a quella notte.
Francesco Bentini ci ha raccontato l’organizzazione che è stata creata autonomamente dagli scout per quanto riguarda sfollati, posti letto, cibo, acqua, luce e gas. Iniziando poi a collaborare con la Caritas, e in più, qualsiasi persona con possibilità ha aiutato a fare qualcosa anche nel proprio piccolo. Quasi nessuno è rimasto indifferente e grazie a quest’unione tra loro, questa volontà di impegnarsi e lo spirito d’aiuto, le persone non hanno perso la speranza. Sono anche stati creati dei gruppi WhatsApp tra i quartieri per tenersi in contatto e aiutarsi a vicenda permettendo così di creare delle piccole comunità.
Martina Laghi ci ha raccontato l’organizzazione scolastica che si è presentata. Indubbiamente bambini e ragazzi sono rimasti molto scossi dalla vicenda portandosi dietro magari anche ripercussioni a livello psicologico; nonostante questo alunni e professori hanno fatto il possibile per non far cambiare le cose anche se, da entrambe le parti, la volontà era quella di non fare lezione, ma piuttosto di dare una mano in città. Questo è stato possibile per qualche giorno, ma essendo alla fine dell’anno, mancando veramente poco alla fine, hanno stretto i denti e hanno finito il percorso scolastico. Molti si sono chiesti “Ma i maturandi come hanno fatto?”, Martina dice che hanno discusso molto sulla questione, erano in dubbio sul fargli fare l’esame o meno e sono arrivati alla conclusione che sarebbe stato meglio di si, ormai mancava veramente poco e studenti e professori hanno fatto del loro meglio.”
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