Questa notte ho fatto un sogno. Ho sognato san Giuseppe che mi implorava: “Oggi è la mia festa. Per favore, liberatemi dai santini!!!”. Mi sono svegliato un po’ sorpreso e mi sono chiesto: san Giuseppe!!?? Ma oggi non era la festa del papà (babbo per i romagnoli)? Ma cosa c’entra con noi san Giuseppe? C’è qualcosa di meno scout della festa di san Giuseppe?
Un po’ più sveglio, ho cercato san Giuseppe su Google e mi sono apparse una caterva di immagini di santini devozionali nei quali faccio davvero fatica a ricuperare qualcosa di interessante, che mi provochi e mi inviti a valorizzare san Giuseppe come una figura significativa.
Ma quell’appello continuava a risuonare nelle mie orecchie: liberatemi dai santini. Non sarà che Giuseppe non c’entra nulla con quelle immagini? Che siamo stati noi a imprigionarlo in un’immagine eterea e così poco aderente alla nostra realtà?
Poi mi sono ricordato che papa Francesco ha pensato di dedicare un intero anno alla riscoperta di questa figura, scrivendo una bella lettera in cui ci chiede di ricuperare Giuseppe di Nazaret, definito dal Papa una “straordinaria figura, tanto vicina alla condizione umana di ciascuno di noi”. Il Papa scrive delle bellissime cose, ma io, modestamente, raccogliendo l’appello ricevuto nel mio sogno, vorrei dire di Giuseppe quattro cose che possono renderlo interessante per noi scout e guide.
1. Giuseppe era un uomo capace di sognare. Dio gli parla nei sogni perché Giuseppe era un uomo che si concedeva di sognare e ascoltava i suoi sogni. Giuseppe era un uomo capace di scrutare l’orizzonte, di saper vedere oltre il visibile, di saper immaginare un mondo migliore e di sentirsi chiamato a lavorare per realizzarlo. Giuseppe non era un uomo ingenuo, un sempliciotto. Se ha creduto a quanto Dio gli ha rivelato in sogno, è stato perché lui stesso viveva il desiderio di una realtà diversa, più corrispondente alla giustizia e al bene. Impariamo da Giuseppe a custodire il desiderio di sognare; impariamo da Giuseppe la capacità di insegnare il valore dei sogni per realizzare un mondo nuovo. (Cfr. Mt 1-2).
2. Giuseppe era un uomo veramente giusto. Non perché era buono e non faceva male a nessuno, ma perché non si accontentava di rispettare le regole. In ogni situazione cercava di comprendere quale fosse “il maggior bene possibile”. Care capo e cari capi, vi ricordate questa espressione? Vi ricordate che essa ha a che fare con il discernimento? Giuseppe era un uomo capace di discernimento e per questo era giusto. Di fronte alla maternità inattesa di Maria, non si appella alla Legge, non cerca di mettersi in salvo, ma si chiede cosa sia veramente giusto fare, cosa il Signore gli domandi in quella circostanza. Impariamo da Giuseppe il valore del discernimento e il senso profondo della giustizia. (Cfr. Mt 1)
3. Giuseppe era un uomo della strada. Il Vangelo ce lo presenta sempre in cammino: da Nazaret a Betlemme per il censimento. Da Betlemme si rifugia in Egitto per sfuggire alla persecuzione di Erode. Dall’Egitto a Nazaret dopo la morte di Erode. Poi da Nazaret a Gerusalemme per il Bar mitzvah di Gesù dodicenne. Ogni volta che si mette sulla strada Giuseppe vive, come noi tutti, la precarietà, l’essenzialità, l’affidamento a Dio. La strada vissuta da Giuseppe è sempre caratterizzata dalla presenza di Maria e di Gesù, che vivono la fragilità della gravidanza, della piccolezza, dell’essere indifesi, tutte dimensioni di cui Giuseppe – insieme a Maria – si fa carico. Eppure non rinuncia alla strada, non sceglie di permanere lì dove non deve stare (in Egitto per esempio). Impariamo da Giuseppe il senso della strada e la capacità di affidarci per andare lì dove il Signore vuole che siamo. (Lc 2; Mt 2).
4. Giuseppe era un uomo con mani abili. Aveva un mestiere, sapeva farlo bene perché era competente, e sapeva anche insegnare ad altri quell’arte di utilizzare il legno per realizzare mobili e attrezzi utili alla vita quotidiana. Sappiamo bene che in questa capacità di lavorare abilmente c’è una grande sapienza di vita, una capacità di accogliere la realtà e di saperla modellare secondo una visione di bene e di bellezza. È questo che Giuseppe ha insegnato a Gesù. Le nostre mani, nella loro capacità sapiente di trasformare le cose, ci aiutano a trarre il bene e il bello da ciò che a molti sembra scontato e banale. Impariamo da Giuseppe il gusto della bellezza e della sapienza del lavoro manuale.
Caro Giuseppe di Nazaret, chiamato a essere padre di colui che solo Dio può chiamare Figlio, ho cercato di liberarti da quelle immagini zuccherose che ci impediscono di riconoscerti come un uomo vero e come un maestro di vita.
Aiutaci a non rinunciare a sognare; insegnaci l’arte del discernimento per essere uomini e donne giusti; poni nel nostro cuore il desiderio della strada, soprattutto in questo tempo in cui, invece degli scarponi, teniamo nei piedi le ciabatte; ricordaci di rimanere uomini e donne con le maniche rimboccate, capaci di lavorare con le nostre mani per fare emergere la bellezza dalla realtà che tu ci doni.
Ma soprattutto a noi capo e capi e a tutti gli educatori, insegna l’arte della custodia affettuosa dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze, dei giovani e delle giovani che non sono nostri figli, ma che ci vengono affidati perché li accompagniamo nel cammino della vita per consentire loro di essere uomini e donne liberi e responsabili, capaci di rendere il mondo un po’ migliore.
don Andrea Turchini A.E. regionale e Rettore Seminario Regionale Flaminio
Foto branco Pleiadi Faenza 3
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