Il futuro della fede passa dall’educazione. Ne è convinta Paola Bignardi, ex presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, relatrice insieme al Baloo d’Italia, Mons. Valentino Bulgarelli, al Convegno metodologico regionale 2019, svolto a Reggio Emilia domenica 20 gennaio, a cui hanno partecipato oltre 1.200 capi emiliano-romagnoli.
Il tema proposto per la riflessione con i capi in plenaria è quello dell’essere testimoni di fede, capaci di educare la fede dei nostri giovani, consapevoli di essere parte della Chiesa. E proprio attorno al concetto di testimonianza si sono sviluppati i due interventi.
Bignardi inquadra il tema partendo dai dati della ricerca sul “rapporto tra giovani, dimensione religiosa e i loro educatori alla fede”, raccolti dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori, ente fondatore dell’Università Cattolica. “Molti giovani vivono una sofferenza interiore e si presentano soli e disorientati nella ricerca della fede. Oggi gli adulti sono meno attenti, troppo occupati da se stessi e i giovani si sentono troppo diversi dalla generazione precedente – spiega Bignardi – Questo rende molto difficile la comunicazione tra generazioni e la crisi del senso di autorità va di pari passo con questo”. La ricerca conferma anche la scarsa fiducia dei giovani nel futuro: “il 70% vede il futuro pieno di rischi e di minacce, meglio vivere nel presente”.
E la fede? Che senso ha in un tempo dove tutto è veloce? “I giovani hanno un approccio alla dimensione religiosa che gli adulti non riescono a interpretare- spiega ancora Bignardi – ognuno tende a costruire il proprio modo di credere, ha un approccio soggettivo, selettivo e solitario, che si costruisce accingendo dal patrimonio di fede del catechismo e componendo un mosaico di risposte alle domande di oggi. Dopo i sacramenti non c’è l’ingresso della comunità, ma si sospende, c’è un allontanamento. E chi si riavvicina lo fa perché da solo si rende conto di non farcela”.
Una delle ragioni di allontanamento dei giovani dalla Chiesa è “cosa c’entra la Chiesa con il mio rapporto con Dio?” e l’anonimato delle relazioni nella comunità “dove non si incontrano persone significative per il proprio cammino di fede”. Non credono inoltre che serva andare in chiesa e avere un dialogo con il sacerdote e “questo lo dicono giovani, credenti e cattolici – continua Bignardi – i giovani cercano esperienze concrete e coinvolgenti, ma i percorsi formativi che incontrano spesso sono astratti e giocati sulla parola. Sono in cerca di relazioni intense, calde e coinvolgenti, ma spesso incontrano l’anonimato. Ricercano persone significative, disposte a stare con loro nel dialogo personale, ma spesso trovano più formazione scolastica. Vivono una fede personale e cercano ragioni per credere, ma spesso trovano un modo rigido di vedere e fare le cose. I giovani si aspettano indicazioni meno perentorie, più dialogo e attenzione alla vita di oggi. Chi resta nella Chiesa vuole vivere un’esperienza contemporanea e la Chiesa deve mostrare ai giovani di essere Chiesa di oggi. Tutte istanze che se accolte renderebbero migliore la Chiesa, non solo avvicinerebbero i giovani”.
In questo scenario l’esperienza di volontariato e servizio ha un grande potenziale formativo, così come il pellegrinaggio, nel quale molti giovani trovano un innesco importante per riprendere in mano la propria fede.
La ricetta di Bignardi ha tre ingredienti fondamentali: “la dedizione degli educatori e la loro passione per i giovani, la disponibilità al dialogo personale e la concretezza delle proposte, per rendere i giovani protagonisti delle esperienze”. Serve un cambio di passo nell’educazione. “La formazione alla fede deve passare dal trasmettere al generare. Questo a cascata implica un passaggio dall’insegnare al fare vedere, dal dirigere all’accompagnare, testimoniare senza avere intenzione di convincere ed essere autentici, un percorso che coinvolge anche l’educatore”.
Sulla necessità di un cambio di passo chiesto a tutto il popolo di Dio si inserisce anche Mons. Bulgarelli, prendendo come base del suo ragionamento “Evangelii gaudium” di Papa Francesco.
“Il primo strumento è il testimone, è il credente. Dobbiamo avere il coraggio di trovare nuovi segni, nuovi simboli e parlare un linguaggio che sia comprensibile, o ci tagliamo fuori da soli – spiega Bulgarelli – Se vogliamo essere una comunità che evangelizza dobbiamo renderci conto che prima dei precetti viene l’innamoramento, cosa che purtroppo abbiamo perso. Non sono le regole che portano ad appassionarsi, bisogna partire dal fuoco, dal fare innamorare di Cristo, poi si arriva alle regole”. I cristiani hanno dunque dovere di “annunciare il Vangelo come un banchetto desiderabile: la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione”.
Ma come possiamo essere attraenti per il mondo di oggi? “Dobbiamo riscoprire il fine del nostro essere Chiesa, tornare all’essenziale: ciò che è essenziale è Gesù che ci ama e cammina con noi”.
Papa Francesco cambia un paradigma, “da vedere-giudicare-agire ad accompagnare-discernere-includere e anche noi siamo in cammino dentro a questo tempo e dentro a questo mondo. Cambiamo dunque le prospettive, soprattutto con i ragazzi che ci sono affidati, “rendiamoli protagonisti anche delle esperienze di fede, prendiamo sul serio le domande reali, non solo quelle che vogliamo sentire, prendiamo sul serio le sfide della vita, se non lo facciamo siamo ipocriti”.
Sullo stesso solco conclude Paola Bignardi: “Le critiche e le domande dei giovani costituiscono una opportunità per il ringiovanimento della comunità cristiana, costringe la Chiesa a trovare percorsi propri di novità e autenticità. I giovani sono una forza che può spingere la Chiesa in avanti: se gli educatori sono veri sanno farsi testimoni e interpreti di questo”.
Matteo Caselli
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